LA STORIA VA RIVISTA O RISCRITTA? – Calzolari
Le sensazionali scoperte archeologiche verificatesi in quest’ultima decade in Turchia sono di così rilevante portata da rimettere in discussione le attuali conoscenze sull’origine della civiltà. In diverse regioni della Turchia sono venuti alla luce siti e monumenti di estrema antichità: Azerbaigian, Armenia, Anatolia settentrionale e, sui freddi altipiani turchi, chissà quanto altro attende di tornare alla luce.
Il primo importante sito a riemergere dal passato remoto è stato Catal Hüjük, un vasto insediamento abitativo, datato al settimo millennio avanti Cristo, che prova come città complesse e bene organizzate siano sorte molto prima di quanto si pensi, già in età neolitica. A duecento chilometri da Yerevan, capitale dell’Armenia, è stata scoperta un’area di circa sette ettari, letteralmente ricoperta da centinaia di megaliti con fori artificiali per l’osservazione astronomica; il sito, Carahunge, è datato al sesto millennio a.C. e presenta notevoli paralleli con i templi astronomici recentemente scoperti nella valle del fiume Fiora (Poggio Rota), Pitigliano in Toscana.
Ma la scoperta più eclatante e misteriosa è avvenuta a Göbekli Tepe, sul confine siriano, dove sono venuti alla luce cerchi megalitici e complesse strutture architettoniche decorate con rilievi scultorei di raffinata esecuzione.
Il sito è stato datato al 9500 a.C. e si ritiene che abbia avuto funzione di tempio e di “centro” sacro per un vasto e popolato territorio. Quest’ultima scoperta ha messo in crisi non pochi accademici ed “esperti”. Infatti, secondo l’odierna teoria “scientifica”, insegnata in università, scuole e accademie, nel 9500 a.C. sarebbero soltanto esistiti gruppi nomadi di raccoglitori e cacciatori, senza arti né tecniche, in altre parole “uomini delle caverne”. Ora dopo Göbekli Tepe, bisogna retrodatare di molti millenni la storia dell’evoluzione umana.
Il nocciolo della questione è il seguente: se nel 9500 a.C. (epoca terminale dell’ultima glaciazione) gli essere umani già possedevano un’evoluta forma di arte, avanzate tecniche costruttive e un codice simbolico per l’elaborazione di dati e idee, ciò implica che essi abbiano progressivamente sviluppato tali capacità e talenti, in un’epoca precedente. E’ invece assai improbabile che siano arrivati a tanto, in un breve arco di tempo. E, allora, la storia va rivista, o riscritta: quei nostri progenitori, durante o prima dell’ultima glaciazione, percorsero un cammino evolutivo che anticipò di millenni quella che oggi è chiamata la “rivoluzione” del neolitico.
Quella che segue è una relazione su Göbekli Tepe, scritta da Enrico Calzolai, apprezzato paleoastronomo, semiologo e collaboratore scientifico dell’Associazione TAGES.
Prime sintesi sulla conferenza tenutasi a Chiavari il giorno 2 dicembre 2011, a titolo:
COSTRUIRONO I PRIMI TEMPLI 7000 ANNI PRIMA DELLE PIRAMIDI
Il dr. Roberto Maggi ha iniziato la conferenza dicendo che, quando un suo amico gli aveva segnalato la scoperta che era avvenuta a Göbleki Tepe, egli si era espresso negandone la veridicità, perché popolazioni di raccoglitori-cacciatori non potevano produrre una simile ideazione progettuale, cioè un sito centrale sacro, un tempio verso il quale convergevano popolazioni da molti chilometri di distanza nella Turchia Sud-orientale (ciò è dimostrato dalla tipologia delle selci ritrovate nel sito).
Soltanto dopo aver appreso che lo scavo era curato da archeologi del Deutsches Archäologiches Institut (DAI) egli aveva accettato di rimuovere l’incredulità e di interessarsene attivamente, recandosi sul sito.
Il concetto di tempio utilizzato nella relazione sul sito non va inteso come superficie coperta, ma come superficie aperta e priva di mura (temenoi ipetri). Non può essere applicato al sito il concetto di cromlech tipico dell’Europa Occidentale. Le grandi strutture in calcare, erette, scolpite, hanno avuto un sito precursore negli scavi di Nevali Cori (1983) per cui fra gli archeologi più attenti erano venute meno certe preclusioni. Le strutture a T, impropriamente chiamate pilastri, costituiscono un caso nuovo nella storia della religione, perché introducono una figura antropomorfa nel mondo mitologico. prima ricco di riferimenti animali.
Göbekli Tepe non è l’inizio di un periodo della storia dell’uomo, bensì la fine di un periodo che deve essere riscoperto come un sistema simbolico che permetteva alla società del tempo un radicamento della memoria culturale. Ci si trova quindi di fronte ad un caso di damnatio memoriae. Deve essere riconsiderata l’attitudine biologica delle comunità più antiche alla complessità sociale, anche se finora le evidenze archeologiche sembrano negarla.
Scrive Maggi nella prefazione alla edizione italiana del libro:
Forse non è necessario agglomerarsi in città per elaborare sistemi sociali complessi ed efficienti: come era l’Internet del Paleolitico? Dobbiamo rileggere l’archeologia del Paleolitico Superiore? Göbekli Tepe demolisce, forse irrevocabilmente l’approccio cosiddetto “primitivista” alla spiegazione del passato … certifica che gruppi sparsi su decine di migliaia di chilometri quadrati erano organizzati in modo da individuare un “centro” in cui costruire “il tempio”, forse riconoscendosi come nazione, quanto meno sul piano che oggi chiameremo spirituale. Il fantastico mondo “animalista” di Göbleki Tepe si decompone con l’origine dell’agricoltura.
Gli spazi rituali delle prime comunità agricole sono poca cosa al confronto.
Per altri versi sappiamo della “gracilizzazione” dei Neolitici, dell’insorgenza di nuove malattie, dell’aumento del carico di lavoro. Benché tutto questo sia ampiamente bilanciato dal successo quantitativo della specie in termini di aumento della popolazione, tuttavia si può – ironicamente ma non troppo – rilevare che l’origine dell’agricoltura è il più antico caso osservabile in cui all’aumento del PIL non corrisponde un miglioramento della qualità della vita.
La meraviglia (l’incredulità) destata dal fatto che “semplici” raccoglitori cacciatori possano aver eretto un monumento di alcuni ettari e migliaia di tonnellate di mura e stele…….…
(continuo con una nota personale)
Sarebbe stata evitata se si fosse dato più spazio – nella cultura ufficiale – allo studio dello shamanismo e della paleoastronomia e all’approccio olistico ai siti megalitici orientati.
Il dr. Maggi cita che la cosmogonia Dogon ha superato di gran lunga gli interessi dell’etnologia.
A me piace citare il caso dell’osso di Ishango, che ho potuto osservare al Reale Museo della Scienza di Bruxelles, in cui sono stati incisi, mediante sottilissime strisce, i primi “numeri primi”. Siamo nel 44000 a.C., e siamo nel Congo Belga!
Circa la presenza di valenze di paleoastronomia (nel primo convegno SIA tenutosi a Padova il prof. Romano ha affermato che per parlare di archeoastronomia occorre la scrittura, cioè la indicazione dei data) l’archeologo tedesco dr. Klaus Schmidt ha spiegato che è ancora presto parlarne, perché bisogna attendere che vengano scavati tutti gli altri siti (non tutti sono rotondi, uno è stato rilevato quadrato). Il sito ha una apertura di orizzonte totale.
Speriamo che il miracolo prodotto da Göbekli Tepe continui e che gli archeologi vengano sulla via di Damasco. Peraltro dobbiamo rilevare come nel Convegno di Bologna (28-29-30 ottobre 2011) sia emerso che per studiare un sito serva la interdisciplinarietà costituita da:
– archeologi
– archeoastronomi
– antropologi.
enrico calzolari
S.I.A. – A.L.S.S.A.