LA NASCITA DELLE CIVILTA’ INDOEUROPEE
“L’origine dei popoli indoeuropei è stata ed è tuttora motivo di grandi dibattiti tra studiosi, l’interesse per questi nostri antichi avi parte dal lontano XVII secolo, quando i commerci con paesi esotici portarono diverse persone ad intraprendere il lungo viaggio che porta dai paesi europei all’India. Questi viaggi e commerci permisero la scoperta di un’incredibile somiglianza tra i vocaboli indiani e quelli europei, in particolare latini e greci. Ciò portò diversi studiosi, naturalmente soprattutto linguisti, a chiedersi a cosa fosse dovuta questa somiglianza di lingua tra popoli così lontani e diversi che fino a poco tempo prima non erano mai entrati in contatto.
Nacque così l’idea che in un lontanissimo passato doveva esistere un’unica popolazione da cui in seguito sarebbero nati vari popoli. All’epoca le conoscenze non erano quelle di cui disponiamo oggi e le discussioni su quale dovesse essere stata la nostra patria ancestrale proseguirono per decenni passando per le più disparate teorie. Motivo di queste controversia è dovuto ad un fattore che spesso si ritrova anche ai nostri giorni, ovvero la non comunicazione tra diverse discipline scientifiche, infatti se la linguistica può rivelare parentele tra diversi nuclei, è l’archeologia che è in grado di fornire datazioni e legami tra un popolo ed il suo territorio, fu così che il sito di origine passò dalla stessa India, in quanto si riteneva che il sanscrito fosse la lingua più antica e quindi originaria, ai paesi baltici quali la Lituania, in quanto gli indoeuropei erano biondi con occhi azzurri caratteristiche fisiche tipiche degli abitanti di quella zona, il che automaticamente esclude la stessa India.
Teorie destinate a cadere in quanto prive di fondamento, il sanscrito non è la lingua più arcaica, mentre la Lituania sarà anche la patria del capello biondo con occhio azzurro, ma è altrettanto vero che gli indoeuropei erano dolicocefali, mentre i lituani brachicefali; ma soprattutto l’idea di un indoeuropeo biondo con occhio azzurro venne dalla descrizione che greci e romani fecero di popolazioni quali i Celti ed i Germani, ma il ragionamento non tiene conto del fatto che li stessi greci e romani sono di origine indoeuropea.
Dalla Lituania si passò alla Scandinavia e la motivazione fu che la popolazione locale è altrettanto bionda e che vi era un termine indoeuropeo per indicare l’albero del Faggio ‘Bhagos’ ed uno per indicare il mare ‘mori’; tali fattori sono effettivamente comuni in Scandinavia, ma è altrettanto vero che non vi è la certezza che quei termini indichino proprio il faggio ed il mare.
Infatti nella storia dell’uomo, quando esso emigra trova specie animali e vegetali nuove e nel tentativo di darle un nome usa un termine a lui conosciuto e che gli ricordi l’oggetto in questione, oppure se vi è una popolazione autoctona sul territorio, prende a prestito il nome da loro utilizzato. La prova di questo viene proprio dall’esempio del Faggio, infatti il termine ‘bhagos’ indica varie specie di alberi in diverse zone; accade così che in Grecia indichi il rovere, in russo significa salice e in curdo, lingua indoeuropea del gruppo iranico, olmo, sebbene si tratti più verosimilmente di un prestito al curdo da una lingua slava.
Mentre per quanto concerne il mare, dal termine indoeuropeo “mori” derivano il latino e l’italiano mare, il francese mer, il castigliano mar, marei in germanico gotico, in lituano marè ed in antico irlandese muir; ma ciò non significa che avesse il significato che oggi gli attribuiamo, in quanto questo termine non esiste nelle lingue indoeuropee asiatiche, quindi poterebbe essere un termine nuovo aggiunto utilizzando un termine preso dalle popolazioni autoctone, tant’è che se così fosse sapremmo che la terra d’origine non era sul mare, proprio per la mancanza di un termine per indicarlo.
Così come more avrebbe potuto indicare altro, magari lago, per cui una popolazione che non ha mai visto il mare, arrivandoci usa il termine per indicare una grossa massa d’acqua, proprio come un lago.
Esempi che avvallano questa teoria non mancano, infatti possiamo ritrovare il termine mori nelle parole ittite marmara col significato di palude e Marrasanta che era il loro principale fiume, così come per il nome attuale del fiume Moravia.
Nel XX secolo un ricercatore tedesco di nome G. Kossinna, fece degli studi sulla preistoria tedesca e stabilì nel 1902 che la patria ancestrale degli indoeuropei dovesse cercarsi nella zona che va dal nord della Germania al sud della Scandinavia, da questo ragionamento a cui per decenni nessuno studioso tedesco si oppose, si sviluppò la futura ideologia razzista della razza pura tanto cara al nazismo.
Un altro e più significativo elemento conosciuto già agli albori dell’archeologia linguistica è la conoscenza della pastorizia degli indoeuropei, il che portò diversi studiosi a credere che fossero popolazioni nomadi che praticavano l’allevamento.
Questo modo di pensare però ha un vizio di forma, ovvero pensavano che si trattasse di popolazioni nomadi in quanto le confrontavano con altre popolazioni nomadi ancora presenti nelle steppe della Mongolia, questo finché nel 1922 un ricercatore di nome Giles fece notare che esistevano anche termini indicanti una conoscenza agricola, anche se ciò non poteva ancora bastare in quanto esistono tipi di colture compatibili col nomadismo; quindi per smentire definitivamente la teoria nomade Giles portò a suo favore termini indoeuropei che indicavano casa, villaggio e cittadella fortificata.
Da ciò dedusse che gli indoeuropei erano allevatori stanziali, il che ha una rilevanza importante in quanto si doveva cercare, come patria ancestrale, un territorio pianeggiante che consentisse l’agricoltura con i mezzi rudimentali del periodo e grandi quantità di pascoli. Giles identificò la pianura ungherese chiamata Pannonia, secondo lui tale ubicazione poteva spiegare anche la facilità migratoria degli indoeuropei, i quali utilizzavano la rotta segnata dal Danubio.
Verso la fine del ‘900 si ipotizzò come probabile sede di origine le steppe al sud della Russia, a suggerirlo fu O. Schrader, che in seguito fu appoggiato da altri studiosi; la conformazione geografica si adatta ma purtroppo le uniche prove apportate sono di tipo linguistico, continuano a mancare le prove archeologiche.
La svolta avvenne con l’archeologa, lituana di nascita e americana di adozione, Marija Gimbutas, la cui tesi è tutt’ora la più apprezzata, anche se non mancano oppositori che si basano su recenti scoperte. La Gimbutas trovò reperti archeologici che confermavano l’archeologia linguistica, inoltre spiegò e datò le varie ondate migratorie. Confermò le steppe a sud della Russia come focolare di partenza, in loco fece personalmente degli scavi in zone abitate da un popolo chiamato cultura dei Tumuli, che lei preferì chiamare cultura Kurgan utilizzando un termine slavo.” (1)
Le campagne archeologiche e gli ampi scritti documentati di Marija Gimbutas, le cui ricerche durate circa 50 anni si sono sviluppate e concluse nel precedente secolo, hanno sicuramente aperto un grande spiraglio sulle origini delle civiltà dell’Europa, consentendo anche una lettura più consapevole della storia dei popoli di questo continente.
Si pensi, per esempio, alla civiltà minoica e ai suoi sistemi di scrittura: la lineare B, più recente, decifrata e ritenuta l’origine della lingua greca e la lineare A, più antica, non ancora decifrata perché non interpretabile ricorrendo al confronto con le lingue indoeuropee presenti sul territorio europeo. Sempre nella civiltà minoica, si pensi ai cosiddetti “palazzi”, per i quali è ancora incerta la vera funzione e che comunque è certo che fossero privi di difese, quindi che siano appartenuti ad un popolo che non si riteneva in pericolo, perché lui stesso era pacifico. Si pensi ancora, per guardare più vicino a noi, al popolo etrusco e alle difficoltà incontrate dagli studiosi nella interpretazione della lingua, perché non ha origini indoeuropee; popolo, quello etrusco, non sempre pacifico come i Minoici di Creta, forse perché a diretto contatto con popoli bellicosi, ma sicuramente un popolo laborioso che alla base dell’economia poneva la coltivazione, per esercitare la quale realizzò grandiose opere idrauliche di risanamento di terreni insalubri.
Queste ed altre difficoltà interpretative della storia dei popoli dell’Europa storica forse oggi, dopo quanto ci ha tramandato la Gimbutas, agli occhi di un appassionato che non si ritenga uno studioso della materia, appaiono più comprensibili. Nei casi citati, come in tanti altri, sembra di intravedere i caratteri, i comportamenti e sistemi di vita che la Gimbutas attribuisce a popolazioni che avrebbero occupato l’intera Europa antica, che alla base della loro economia avevano l’agricoltura e solo marginalmente l’allevamento del bestiame, che vivevano in villaggi aperti, privi di difese, il che ne denota il carattere pacifico. Ma vicino a questi popoli, nel corso della storia scritta, ve ne sono stati altri che si sono arroccati in città munite di difese, come la civiltà micenea, sviluppatasi quasi parallelamente all’ultima minoica, che, forse, ne ha causato la scomparsa con la distruzione del suo pacifico commercio, dell’agricoltura e dell’artigianato ed infine con la distruzione dei “palazzi”, mai ricostruiti. Come i Romani che si scrollarono di dosso la guida e il controllo degli Etruschi scacciandoli da Roma, per riprendere a vivere e a governarsi secondo i propri antichi costumi e finire per sottometterli fino a disperderli e a cancellarli dalla storia.
La Gimbutas, dalle innumerevoli ricerche archeologiche svolte nel corso della sua vita di studiosa ed utilizzando anche scoperte di altri studiosi, ha ritenuto di concludere che la varietà delle culture presenti in Europa nel periodo storico sono derivate dall’incontro-scontro di due diverse civiltà: una diffusa sul territorio dell’Europa antica, l’altra sviluppatasi, forse più tardi e lentamente, verso Oriente, nei territori situati a nord del Mar Nero, del Caucaso e del Mar Caspio. L’una pacifica, dedita alla coltivazione, la cui religione si fondava sul culto della madre terra, dea femminile; idea del femminile che aveva trasposto nell’organizzazione sociale, ponendo la donna al centro della società; l’altra si era formata nelle vaste steppe del nord, battute dai venti e occupate da mandrie di animali liberi. Come potevano queste popolazioni porre alla base della propria economia l’agricoltura che risultava di difficile realizzazione in quell’ambiente ostile! La loro attenzione si rivolse quindi agli animali e, non alla coltivazione se non in maniera molto marginale, non potevano ritenere la terra generatrice della vita, ma guardavano al cielo pensando a dèi maschili, forti, potenti e guerrieri, e trasposero questa concezione nell’organizzazione sociale in cui il maschio prevaleva.
Marija Gimbutas ci trasmette i risultati delle sue ricerche in due libri principali: il primo dal titolo “KURGAN – le origini della cultura europea” e il secondo “LE DEE VIVENTI”, la cui pubblicazione avvenuta dopo la morte è stata curata da Miriam R. Dexter. Libro quest’ultimo di cui abbiamo riportato dei brani nel n. 8 dei nostri quaderni.
La culture dell’Europa Antica
Nei due millenni che precedettero il primo incontro di queste due civiltà, circa fra il 7500 e il 4500 a.C., nell’Europa antica si erano sviluppate una serie di culture che, pur nelle inevitabili differenze, avevano assunto dei caratteri comuni.
L’economia di queste popolazioni era basata sulla coltivazione della terra; erano organizzate in centri abitati formati spesso da numerosi abitanti. I ritrovamenti archeologici dimostrano che si trattava di popolazioni pacifiche. L’evoluzione di queste civiltà era avvenuta senza l’uso della forza; in nessun sito sono state trovate tracce di guerra; gli insediamenti sono risultati privi di fortificazioni, posti spesso vicini a corsi d’acqua, in zone aperte come se non avessero avuto necessità di proteggersi da nemici.
La società era di tipo matrilineare e matrifocale. L’archeologa Marija Gimbutas spiega la sua tesi ritenendo che “Il padre nell’antichità preistorica non era comparso del tutto, o non era valutato con le stesse attenzioni che si riservano alla madre. Il corpo femminile dà prova di maternità, mentre il corpo maschile non dà prova di paternità. In più, in molte società le femmine non restavano legate ai loro partner sessuali. Ciò avrebbe reso impossibile stabilire la paternità, ovvero l’esatta identità del padre biologico di un bambino appena nato. La determinazione della paternità è una delle pietre angolari delle culture patriarcali successive, tese soprattutto a controllare il comportamento riproduttivo delle donne. Questa impossibilità di stabilire la paternità ha un effetto sulla struttura sociale, perché se il padre biologico non può essere determinato, la madre e il suo ceppo sono automaticamente il punto focale della famiglia, e la struttura familiare è matrilineare. Il corpo della donna era considerato partenogenetico, cioè si pensava che creasse da sé la vita, una caratteristica che veniva celebrata nella religione. Nell’epoca neolitica, e ancor prima nel paleolitico superiore, la religione era centrata sulla potenza femminile, come dimostra la predominanza del simbolismo femminile. Proprio come il corpo femminile era considerato espressione della dea creatrice, allo stesso modo anche il mondo veniva considerato come il corpo della dea che crea costantemente la nuova vita da sé medesima. Il patrimonio artistico del neolitico è prevalentemente femminile: il corpo femminile, in particolare le sue parti generative – la vulva, l’utero o il grembo – sono predominanti. Questi simboli non compaiono solo su statuette o su più grandi sculture della dea, ma anche su vasi, corredi cultuali e nell’architettura tombale e templare.”. (2)
Che la società delle cultura dell’Europa antica ponesse la donna al centro, oltre che dalle immagini femminili riprodotte nei reperti provenienti dagli scavi archeologici, è dimostrato anche da altre scoperte fatte nel corso degli scavi. Molte sepolture erano poste sotto le abitazioni e nei pressi dei templi e quasi sempre sono risultate sepolture di donne, spesso molto anziane. Gli archeologi ritengono che la sepoltura sotto l’abitazione indichi che vi era posta a protezione della casa e della famiglia; il fatto che si tratta spesso di donne molto anziane può significare che la donna, soprattutto quella anziana era particolarmente onorata in quanto progenitrice della famiglia.
L’uomo non era escluso, ma non era considerato centrale nella comunità. Le tombe appartenute ad uomini contengono spesso manufatti che sembrano indicare il tipo di mestiere esercitato in vita dal defunto.
Le numerose statuette di divinità rinvenute negli scavi hanno consentito agli studiosi di ipotizzare quale fosse la religione dell’Europa antica. Come la donna era centrale nella vita sociale della comunità, così il mondo degli dèi era al femminile, forse come ricordo della madre terra in popolazioni dedite alla coltivazione. Non era assente il dio maschile, ma sempre in subordine alla dea. Quasi certamente gli antichi europei ritenevano imponderabili le forze naturali, così come piante e cicli animali, e adoravano molte dee, o forse una sola dea in molte forme e conseguentemente veneravano il ciclo completo di nascita, morte e rinascita. Il punto centrale della religione comprendeva nascita, nutrimento, crescita, morte e rigenerazione, parallelamente alla coltivazione delle messi e all’allevamento degli animali. La dea manifestava le sue innumerevoli forme attraverso varie fasi cicliche che vigilavano sul buon andamento di ogni cosa; molti erano i modi in cui si rivelava, nei mille accadimenti della vita; le sue raffigurazioni sono caratterizzate da un simbolismo molto complesso.Le civiltà dell’Europa antica avevano raggiunto un alto livello culturale. I manufatti rinvenuti risultano raffinati nella forma e nella lavorazione e mostrano la capacità di artisti e artigiani di parlare attraverso simboli e di esprimersi con segni che potrebbero essere stati una prima forma di scrittura, seppure utilizzata nel rapporto con la divinità e quindi con uno scopo di culto.Gli antichi europei conoscevano il rame e l’oro fin dal VI millennio a.C. A quell’epoca risalgono le attività estrattive, ma entrambi i metalli non sono adatti alla fabbricazione di armi e utensili.Ad un certo punto, intorno al 4500 a.C., tutto sembra cambiare. In alcune località scompaiono i raffinati manufatti del passato e se ne trovano altri di forma più arcaica. Incominciano a emergere segni di guerre e di violenza che erano stati assenti nei periodi precedenti. Qualcosa di importante è quindi avvenuto, anche se in un primo momento il cambiamento non ha interessato l’intera Europa. Parte di essa risulta totalmente estranea al fenomeno, in altra parte si verificano cambiamenti nei comportamenti delle popolazioni, come per esempio il trasferimento degli insediamenti in luoghi più facili da difendere ed, in qualche caso, la comparsa di difese attorno agli stessi. Perché di questi cambiamenti e chi può averli provocati? E’ ancora solo l’archeologia che può dare una risposta. L’archeologa Marija Gimbutas ritiene di avere trovato la risposta. Le Culture Kurgan In maniera e in tempi diversi rispetto al sorgere delle civiltà dell’Europa antica, nell’area posta a nord del Mar Nero, del Mar Caspio e del Caucaso, si erano sviluppate civiltà diverse che, nel tempo avevano assunto caratteri comuni. Si trattava di popolazioni che basavano la loro economia sull’allevamento di animali (pecore, capre, bovini) che vagavano numerosi nella steppa; erano distribuite sul territorio in piccole comunità in conseguenza della loro attività di pastori.
Nelle due piantine che rappresentano rispettivamente il bacino del Volga (la destra) e il bacino del Don (la sinistra), è compresa l’area nella quale si svilupparono le civiltà di pastori nomadi che la Gimbutas denominò kurgan, dal nome russo del tumulo di terra o pietre che usavano erigere al di sopra della tomba In quest’area della steppa russa si erano sviluppate varie culture tutte dedite all’allevamento di animali che, per seguire le mandrie al pascolo, conducevano una vita nomade.Area della Cultura di Serednyj Stog (= SS) e di quella dei kurgan (o yamnaia = Y), che si sviluppa dalla prima.
In quest’area della steppa russa si erano sviluppate varie culture tutte dedite all’allevamento di animali che, per seguire le mandrie al pascolo, conducevano una vita nomade. |
Tutte queste piccole comunità usavano seppellire i loro morti in cimiteri a sepoltura collettiva e in tombe piatte. Agli inizi del V millennio iniziarono ad introdurre il sistema di seppellimento in tombe ricoperte da un tumulo di terra o di pietra e, intorno al 4500-4300, quel sistema di seppellimento si era diffuso tra il medio Volga e gli Urali, il Caucaso e il bacino del Don e del basso Dnepr.
La tomba spesso era quella di un guerriero che era stato seppellito con arredi propri del suo status in vita. Sono state scoperte anche tombe dove con quelli dell’uomo, sono stati rinvenuti i resti di donne e bambini.
I risultati delle ricerche archeologiche sembrano dire che quelle popolazioni si erano date una diversa organizzazione: familiare, dove a prevalere era l’uomo, sociale, con la divisione in classi, e politica, con il potere concentrato in poche mani, sempre maschili. Quindi civiltà che poneva l’uomo al centro della famiglia e della comunità. Alla base dei rapporti umani predominava la forza fisica e l’uso delle armi e poiché la vita si svolgeva nella steppa, dove incombe il cielo con tutte le sue manifestazioni, a volte spaventose (venti, lampi, tuoni e tempeste …), l’uomo non poteva che credere in dèi del cielo, maschili e potenti che inviavano i fulmini per colpire. In sintesi, non avendo la coltivazione della terra alla base della loro economia, a differenza delle popolazioni che vivevano più a ovest nei territori dell’antica Europa, probabilmente avevano dimenticato l’antico culto della Madre Terra.
Il sistema della fossa singola subì nel tempo delle trasformazioni al suo interno, con l’uso di lastre di pietra in un secondo tempo e di travi in legno nell’ultimo periodo, ma conservò l’uso del tumulo. Da questo carattere uniforme nel tempo scaturì il nome di kurgan che Marija Gimbutas attribuì alle civiltà che si svilupparono nei millenni successivi e che realizzarono quelle migrazioni sia verso est che verso ovest che tanta influenza ha avuto sul futuro di molte civiltà.
L’economia della pastorizia e il conseguente sistema di vita (il nomadismo) avevano spinto queste popolazioni verso la formazione di un sistema familiare, sociale e politico radicalmente diverso da quello delle popolazioni che vivevano più ad ovest, nella parte europea del continente.
In quel millennio (il V°) era intervenuto anche un altro evento importante: agli inizi del millennio i kurgan avevano addomesticato il cavallo che usavano, come i buoi, per il traino (del carro a quattro ruote, altra loro invenzione?) ed avevano imparato ad usarlo come cavalcatura.
Tutti questi fattori e forse anche il fatto che il clima aveva subito dei peggioramenti nella loro area provocando l’inaridimento della steppa, queste popolazioni, alla ricerca dei pascoli per le mandrie, migrarono sia verso est che verso ovest.
Il nomadismo, che obbligava a vivere in case facili da rimuovere, il cavallo che consentiva spostamenti rapidi e che aumentava la potenza del cavaliere, la ricerca di nuovi pascoli, il richiamo di un ambiente rigoglioso: tutti questi e forse anche altri motivi spinsero i kurgan ad emigrare.
Noi, come Marija Gimbutas, ci occupiamo dei movimenti verso l’Europa.
Soffermiamo brevemente l’attenzione sul cavallo e sul perché non si trova, prima delle invasioni, fra i reperti delle civiltà antico-europee. Una specie di grandi cavalli esisteva in Europa nel paleolitico superiore. Infatti il grande cavallo è stato oggetto privilegiato nei dipinti di quel periodo. Con il termine delle glaciazione (circa il 12000 a.C.) ed il conseguente cambiamento del clima, il grande cavallo come altri animali di grandi dimensioni, si estinse. Solo nelle praterie della Russia meridionale sopravvisse un cavallo di piccole dimensioni. Probabilmente il cavallo, come gli altri animali, fu allevato dalle popolazioni di questa area che, con il tempo impararono ad utilizzarlo per i trasporti, finché impararono a montarlo. Questa scoperta non può che avere cambiato radicalmente le loro abitudini. Il cavallo consentiva di coprire grandi distanze con maggiore rapidità, inoltre dava maggiore forza al guerriero.
Per tornare alle migrazioni, queste si svolsero in tutto l’arco di tempo che va dalla metà del V millennio (4500 a.C.) alla metà circa del III° (2500 a.C.). Non furono continue, i Kurgan migrarono in occidente in tre distinte ondate.
La prima ondata
Abbiamo già esaminate le cause che possono avere spinto i gruppi kurgan ad emigrare verso altri territori. Di seguito ci occupiamo di illustrare i tempi e le modalità delle tre diverse ondate migratorie verso occidente.
Approssimativamente, gli ultimi 800 Km del fiume Dnepr in territorio ucraino, come si nota dalla cartina a fianco, sono un susseguirsi di bacini artificiali. Il Dnepr sfocia nel Mar Nero con un lungo estuario.Ad est del Dnepr, scorre il fiume Donec tributario del Don poco prima che quest’ultimo sfoci nel mar d’Azov.Nell’area compresa tra i fiumi Dnepr e Donec, a nord del mar Nero, si era sviluppata una delle culture dell’Europa Antica.Verso est, a nord del Mar Nero, del Mar Caspio e dei Carpazi si erano sviluppate le culture Kurgan. |
Questa prima ondata si svolse tra il 4500 e il 4300 a.C..
La prima delle civiltà dell’Europa antica ad essere interessata dall’invasione sembra essere stata la civiltà Dnepr-Donec, così chiamata dal nome dei fiumi nei pressi di quali si era sviluppata. Le tracce evidenti dell’invasione sono emerse dall’indagini archeologiche del sito del Srednij Stog, nella regione del basso Dnepr a nord del Mar Nero. Gli strati inferiori del sito, più antichi, conservavano reperti propri della civiltà dell’Europa antica, mentre quelli superiori contenevano resti di armi (punte di frecce in selce, lame di selce lunghe fino a 20 cm, proiettili, stiletti), tracce tipiche di una civiltà guerriera. Sempre negli strati inferiori di uno dei popoli dell’Antica Europa, un tipo di Cro-Magnon robusto dedito all’agricoltura, sono stati rinvenuti oggetti raffinati (braccialetti a spirale, collane, oggetti di rame), forse importati da culture simili che si trovavano più ad occidente (Cultura Cucuteni, delle miniere di rame di Bunar in Bulgaria). I resti umani rinvenuti hanno inoltre evidenziato le differenze: individui più piccoli e robusti gli antico-europei, più alti e snelli i nuovi arrivati.
Dopo questi primi contatti con i popoli più vicini, i Kurgan si mossero verso sud ovest, lungo il corridoio di terra fra i Carpazi e il di Mar Nero, verso il bacino del Danubio, nelle attuali Romania e Bulgaria.
Prima ondata kurgan (dal 4300 a.C. circa al 4200 a.C. circa).Le frecce mostrano i principali itinerari della primissima invasione kurgan, che interessò soprattutto la culture antico-europee di Karanova, Vinca, Lengyel e Tiszapolgar. |
L’area dell’attuale Romania era occupata dalle culture Varna a Gumelniţa-Karanovo. Da qui i Kurgan migrarono verso la valle del Danubio, dove incontrarono le culture Vinča (Vincha) e Tibisco nei Balcani centrali, per poi muoversi verso l’Europa centrale.
Le popolazioni antiche europee presenti in queste aree spesso abbandonarono gli insediamenti che occupavano forse da migliaia di anni. Si trattava di popoli che vivevano in centri abitati anche di notevoli dimensioni per l’epoca, intrattenevano fra loro rapporti commerciali e culturali, ma mancavano di un’unica organizzazione politica. I ritrovamenti di stragi e uccisioni collettive sono le tracce che provano il passaggio degli invasori.
Marija Gimbutas ritiene comunque che quelle dei kurgan della prima ondata non fossero grandi masse in movimento, ma piccole bande che, grazie alle armi di cui disponevano e all’uso del cavallo, forse già utilizzato come cavalcatura, potevano sottomettere e vincere popolazioni più numerose, proprio perché pacifiche.
L’arrivo dei Kurgan della prima ondata ebbe gravi conseguenze anche sull’arte e la religione dei popoli dell’antica Europa incontrati. “La ceramica altamente simbolica e tecnicamente sofisticata delle culture Karanovo, Vinca, Lengyel e altre culture antico-europee, declinò rapidamente e in alcune aree scomparve, per essere sostituita da una ceramica più rozza, temprata con gusci di conchiglie e decorata con motivo solari.”.
I Kurgan della prima ondata non occuparono quindi l’intera Europa. Le culture presenti nel nord, nella parte ovest e sud del continente europeo non furono interessate dalle invasioni. E nella stessa parte orientale e centrale interessata rimasero alcune nicchie della cultura antica e in alcuni casi le due culture (l’antico-europea e proto-indoeuropea) si fusero per dare origine alla nuova cultura, la indoeuropea, che, con le successive due ondate, avrebbe interessato quasi l’intera Europa.
Se le deduzioni tratte dall’archeologia sono corrette, si deve supporre che non tutte le popolazioni dell’antica Europa incontrate dai Kurgan siano state distrutte o sottomesse o si fusero con gli invasori. Forse popolazioni vicine a quelle interessate dalle invasioni si allontanarono dall’area occupata anche da un millennio per raggiungere aree lontane dal pericolo.
Forse questi movimenti migratori causati dalla paura e da chissà quali altri motivi potrebbero avere dato origine alla cultura minoico-cretese dell’isola di Creta che si sviluppò circa due millenni dopo questa prima invasione dei Kurgan o anche avere causato le migrazioni di quei popoli da cui ebbe origine la civiltà etrusca o, infine, per riferirci a eventi che possono avere influenzato la nostra area (la bassa Toscana e l’alto Lazio), avere spinto all’emigrazione dall’Anatolia quel popolo che è stato chiamato del Rinaldone (….) che comparve in Italia intorno al 4000 a.C., quindi all’incirca nell’epoca in cui in cui si svolse la prima ondata dei Kurgan verso l’Europa.
Dopo questa prima ondata, l’Europa visse un periodo di relativa tranquillità che durò circa 1000 anni, prima che una nuova ondata di altra popolazione di Kurgan si muovesse verso occidente.
La seconda ondata
Nel periodo che intercorse tra la prima e la seconda ondata che, secondo Marija Gimbutas, si svolse tra il 3500 e il 3200 a.C., l’area a nord del Mar Nero e delle montagne del Caucaso, ospitava una cultura Kurgan che aveva sviluppato nuove peculiarità rispetto a quella precedente che aveva realizzato la prima migrazione verso ovest e verso est: le tombe dei guerrieri sono più sontuose, la camera mortuaria è frequentemente costruita con lastre di pietra, spesso la tomba è protetta da steli o circoli di pietre; la società appare organizzata in forma gerarchizzata, con il guerriero dominante che vive in un castro costruito su un’altura, protetto da spessi muri in pietra, in una casa pure costruita in pietra che presenta un lato a forma di abside nel quale operano gli artigiani addetti alla costruzione delle armi; ai piedi dell’altura e fuori del castro vive ed opera la popolazione dedita alla pastorizia.
Questa nuova cultura Kurgan, formata dall’evoluzione della precedente, potrebbe avere realizzato una qualche forma di unità politica e sembra che sia stata questa popolazione ad avere promosso la seconda ondata migratoria verso occidente.
La prima delle culture antico-europee ad essere interessata da questa seconda invasione fu la Cucuteni (Tripoline), cultura antico-europea posta a nord e ovest dell’area occupata dai Kurgan e che era sopravvissuta alla prima ondata avendo trasferito i propri insediamenti in posizioni più facilmente difendibili.
Marija Gimbutas sostiene che lo sviluppo culturale e sociale realizzato dalla cultura Cucuteni nei circa 800 anni intercorsi tra il passaggio della prima e la seconda migrazione kurgan può darci un’idea del corso che avrebbe potuto prendere l’Europa se non vi fossero state le invasioni: i popoli vivevano in centri abitati che potevano raggiungere fino a cinquemila o diecimila abitanti, intrattenevano tra loro rapporti culturali e commerciali, la lavorazione della ceramica e la decorazione artistica della stessa aveva raggiunto un notevole livello, anche nell’architettura avevano fatto notevoli progressi, con la costruzione di templi a due piani. Verso la metà del IV millennio a.C. questa cultura fu distrutta e contemporaneamente comparvero le tombe Kurgan e i loro insediamenti formati da case semi-sotterranee. Questi invasori proseguirono il loro cammino verso nord-ovest lungo l’Ucraina occidentale, a nord dei Carpazzi verso la Polonia e la Germania, dove incontrarono la cultura antico-europea TRB (o del bicchiere imbutiforme per via dello stile dei suoi vasi in ceramica). Oltre che verso nord-ovest gli invasori Kurgan si mossero verso sud-ovest dove incontrarono popolazioni che avevano subito la prima invasione ed erano in parte kurganizzate.
Quasi tutte le culture antico europee che erano sopravvissute alla prima ondata dei popoli kurgan subirono le conseguenze di questa seconda ondata dando origine alle nuove culture che occuparono quasi l’intera Europa. L’amalgama non fu immediato in tutta le aree raggiunte. Nell’Europa del nord (Polonia e Germania) la cultura antico-europea denominata TRB (o del bicchiere imbutiforme) sopravvisse distinta dalla cultura kurgan dell’anfora globulare per almeno un millennio, finché più tardi dette origine alla nuova cultura indoeuropea settentrionale da cui in seguito si sarebbero evolute le lingue e le culture celtiche, italiche, germaniche, baltiche e slave.
Questi invasori, alla maniera dei Kurgan a nord dei Carpazi e del Mar Nero da cui provenivano, lasciarono tombe protette da circoli di pietra o steli, costruirono castri ben difesi, che provano la loro organizzazione di società guerriera; inoltre causarono la scomparsa delle antiche culture europee, in compenso introdussero in Europa nuove tecnologie: il carro a quattro ruote sconosciuto in Europa, l’aratro tirato da una pariglia di buoi, il bronzo che dette origine all’era che prese il suo nome e che fu utilizzato per forgiare le armi. Il ferro, altro metallo importante per il mondo antico, comparve dopo il mille a.C. circa.
Per la cultura indoeuropea che nacque dall’incontro delle due culture, l’oro sarà molto importante e ricercato. La cultura dell’anfora globulare (indoeuropea) invece non utilizzò l’oro per rappresentare il colore del sole, centrale nella religione kurgan, ma si servì dell’ambra che trovò sulle coste del Mar Baltico, formatasi dalla fossilizzazione delle resine degli alberi. Forse fu per la ricerca di questo minerale prezioso per le loro rappresentazioni simboliche in ambito religioso che questo popolo della cultura dell’anfora globulare si spinse a nord della Germania e della Polonia fino ai territori dell’attuale Lituania.
La terza ondata
La terza ondata di popoli kurgan iniziò poco dopo il 3000 a.C. Sembra che provenisse dalle steppe russe del Volga-Dnepr e si sia mossa lungo la regione pontica fino a raggiungere l’Europa centro-orientale: Romania, Bulgaria settentrionale e centrale, Serbia settentrionale e Bosnia, Ungheria nord-orientale e Slovacchia.
Terza ondata kurgan (dal 3000 a.C. circa al 2800 a.C. circa). Le frecce e le aree tratteggiate indicano le successive incursioni dei Kurgan delle steppe (parte orientale delle linee più scure) e di culture ibride (area oblunga al centro della mappa). La freccia tratteggiata mostra una possibile rotta verso l’Irlanda.(Revisione del 1986 di Marija Gimbutas) |
Queste popolazioni, nomadi e pastorali, si mossero rapidamente e gli archeologi li hanno riconosciuti per i monumenti funebri: sepolture di singoli maschi come tombe principali; la fossa contenente una casa mortuaria costruita con pali di legno e travi orizzontali sui quali venivano disposti cumuli di terra tondeggianti. Il ritrovamento di cimiteri contenenti numerosi resti umani dimostrerebbero che l’ondata è stata ancora più intensa della precedente.
Erano individui di razza europoide con caratteristiche primitive, di alta statura e di costituzione forte con teschi dolicocefali, naso pronunciato e mandibole robuste.
Come abbiamo visto, con la seconda ondata quasi tutta l’Europa aveva subito trasformazioni culturali; dall’incontro delle due culture, con il passare dei secoli erano derivate nuove culture che spesso conservavano elementi di quella antica dell’Europa e di quella nuova kurgan.
La terza ondata, forse per il fatto che fu di schiere numerose e molto mobili, occupando la parte centro-orientale dell’Europa, determinò grandi spostamenti di popolazioni che avevano già assorbito elementi culturali dei precedenti invasori. Queste popolazioni si mossero dai luoghi prima occupati verso altre aree: il popolo della Cultura della ceramica cordata – derivata dalla Cultura dell’anfora globulare (Germania e Polonia)- si spostò a nord nell’area del Baltico orientale e della Scandinavia meridionale. La Cultura Vučedol – erede della Baden – si spinse a sud e a ovest, probabilmente raggiungendo il Peloponneso attorno al 2900-2500 a.C.
Poco dopo la seconda ondata fra il 2500 e il 2000, in Europa occidentale si era formata la cultura del vaso campaniforme che probabilmente iniziò nei territori delle Serbia e completò le migrazioni dei popoli guerrieri. Dopo queste migrazioni vi fu una stabilizzazione che dette origine ai gruppi culturali da cui sarebbero derivati i distinti popoli di lingua indoeuropea.
“Intorno al 2000 a.C., il mondo dell’Europa antica era stato trasformato, a eccezione dei gruppi antico-Europei di Creta, delle isole dell’Egeo e della penisola Iberica.
Tracce delle culture dell’Europa antica nelle civiltà del periodo storico
In epoca storica, gli Unni, un popolo proveniente all’incirca dalle stesse aree occupate dai kurgan, non lasciarono tracce archeologiche, dei loro movimenti ci informano solo gli storici e non hanno avuto influenze sulle civiltà con le quali si sono incontrate. Al contrario, i kurgan si mossero verso l’occidente con l’intento di occupare gli spazi occupati da millenni da antiche culture, sullo sviluppo delle quale ebbero grande influenza: in certi casi le distrussero completamente, in altri ne assimilarono aspetti dell’organizzazione sociale e della religione. Da questa fusione ebbero origine culture miste. Per la loro durevole presenza sui territori, lasciarono molte tracce che hanno consentito agli archeologi di seguire i tempi delle invasioni e gli itinerari percorsi, anche se, in assenza di tracce scritte, l’archeologia non va oltre certe ricostruzioni.
Informazioni ci vengono dallo studio delle lingue, altre dalle tracce lasciate nell’organizzazione sociale delle diverse civiltà storiche che sono derivate dall’incontro delle due culture, informazioni maggiori ci vengono fornite dalle varie forme di religione praticate dai diversi popoli europei.
La Gimbutas ha studiato alcune delle civiltà del periodo storico traendo le conclusioni che ci ha trasmesso con la pubblicazione dei suoi libri e che riportiamo fedelmente nelle parti secondo noi di particolare interesse:
“Dopo aver raggiunto l’apice culturale nel quinto millennio a.C., l’Europa Antica cominciò a decadere e gli elementi della cultura indo-europea – religione, economia e struttura sociale – finirono per imporsi in Europa. Al mitologo francese Scorge Dumézil (1939, 1958), si deve la fondamentale constatazione che le divinità della religione indo-europea possono in generale essere categorizzate all’interno di tre classi: il sovrano, il guerriero e il produttore (questa classe include tra l’altro gli artigiani e in generale le figure della “fertilità”). L’Europa indo-europeizzata era composta da società gerarchiche divise nelle stesse tre classi. Patriarcato, classi sociali e belligeranza divennero la norma. Ma la cultura dell’Europa Antica non fu completamente eliminata in ogni dove. Una certa influenza antico-europea si avverte nel ruolo delle donne in alcune società europee all’inizio dell’epoca storica. La sopravvivenza dei costumi dell’Europa Antica è documentata da resoconti storici che non solo offrono una conferma della natura matrifocale della società antico-europea come suggeriva la ricerca archeologica, ma offre anche dettagli circa le usanze matrifocali che l’archeologia non può conservare.
Una delle regioni che conservò più a lungo degli elementi di cultura antico-europea fu l’Egeo, dove furono trovati documenti che descrivono usanze matrilineari. La cultura minoica di Creta, in relazione della sua collocazione geografica, conservò usanze matrilineari molto più a lungo rispetto ai suoi contemporanei del continente. Una gran quantità di arte religiosa, reperti architettonici sepolcrali della cultura minoica, attesta l’importanza della femmina e dei modelli di trasmissione matrilineare della cultura. Anche dopo l’arrivo dei Micenei (indoeuropei), le tradizioni matrilineari rimasero forti. Nel primo secolo a.C. lo storico e geografo greco Strabone documentò il matrimonio matrilocale cretese, e l’esistenza di questo costume è confermata dalle prove delle leggi matrimoniali conservate nel codice di Gortyna (quinto secolo a.C.). Le leggi stabiliscono che la donna manteneva il controllo sulla sua proprietà anche dopo il matrimonio, e che era libera di divorziare qualora l’avesse voluto. Un altro aspetto del sistema matrilineare dell’Europa Antica, l’avunculato – il ruolo importante sostenuto dal fratello della donna -, è descritto nelle stesse iscrizioni. Al fratello toccava tra l’altro l’educazione dei figli di sua sorella.
Un’altra area che conservò alcuni elementi del sistema matrilineare è Sparta. Benché Sparta avesse incorporato molti elementi della struttura sociale indoeuropea, come l’enfasi sulla guerra, la collocazione isolata della città-stato al centro della penisola greca del Peloponneso contribuì a preservare alcuni elementi dell’Europa Antica.
Anche gli Etruschi dell’Italia centrale conservarono usanza matrifocali. Questa civiltà si sviluppò a partire dall’ottavo secolo a.C., ma subì un progressivo declino dopo il quinto secolo a.C., quando incominciò una graduale assimilazione con Roma. Lo storico greco Teopompo sostiene che le donne etrusche giravano nude senza nessun imbarazzo, in mezzo agli uomini e ad altre donne, amavano bere e vestivano in modo simile agli uomini, portavano addosso anche i simboli della cittadinanza e del rango: mantelli e calzature alte. I nomi delle donne etrusche rispecchiavano il loro status giuridico e sociale, in forte contrasto con le usanze romane, secondo le quali una donna non possedeva un nome tutto suo. Infatti, prima che una donna romana si sposasse, era conosciuta come la figlia di suo padre, e dopo il matrimonio come la moglie di suo marito. In contrasto con le donne romane, le donne etrusche svolgevano ruoli importanti come sacerdotesse e veggenti e costituivano una forza politica.
Molti altri aspetti della società etrusca rispecchiano una società matrilineare e un ordinamento familiare matrifocale. Teopompo sosteneva che le donne etrusche allevassero i propri figli sia che questi conoscessero il proprio padre, sia che non lo conoscessero. Questa matrifocalità era probabilmente correlata al diritto della donna di mantenere la proprietà e alla successione matrilineare che si ripercuoteva anche nei nomi propri: nelle iscrizioni etrusche, le persone sono denominate solamente mediante il nome della madre.
La sopravvivenza delle pratiche matrilineari non fu semplicemente una particolarità della Grecia antica e dei mondi dell’Egeo e del Mediterraneo, la si trova anche in aree periferiche dell’Europa occidentale e settentrionale, dove l’influenza delle invasioni indoeuropee fu più debole. Tra le culture antiche e moderne che conservano questo aspetto dell’eredità dell’Europa antica ci sono i Baschi di Spagna e Francia, gli Iberici e i Pitti di Scozia. Altre culture che furono prevalentemente indoeuropee ma che conservarono anche tratti matrilineari furono i Celti, i Teutoni e i Baltici. Una delle civiltà più importanti tra quelle che conservano le radici dell’Europa Antica, e che sopravvive fino ad oggi nella Spagna settentrionale e nella Francia sud-orientale, è quella dei Baschi. I Baschi possiedono una cultura del tutto non indoeuropea, con la sua lingua non indoeuropea e il suo folclore, il suo codice giuridico e le sue usanze matrilineari che affondano le radici nei tempi dell’Europa Antica. Il sistema di leggi basco conferisce alla donna un alto status in quanto erede, arbitro e giudice, tanto in epoca antica quanto in epoca moderna. Le leggi che stabiliscono la successione nella regione basca francese trattano gli uomini e le donne con assoluta parità. Un’altra cultura antico europea nella penisola iberica era quella degli Iberici, le cui pratiche matrifocali furono descritte dallo storico e geografo greco Strabone nel primo secolo a.C.: “(Tra gli Iberici) è l’uomo che porta la dote alla donna. Alle figlie vanno in eredità i beni, e da loro vengono assegnate le spose ai fratelli. In tutte le loro usanze, la loro condotta sociale è una sorta di ginecocrazia”.
Più tardi, in Europa, antichi documenti scritti conservano memorie di culture antico europee nelle isole britanniche. La regione attualmente chiamata Scozia fu abitata da una tribù nota con il nome di Pitti, che non parlava una lingua indo-europea e che si sottrasse all’indo-europeizzazione per parecchio tempo perché l’impero romano non si estese mai al di là del vallo Adriano. Anche i Pitti conservarono le leggi matrilineari e la religione della dea con i suoi simboli. In questa cultura la trasmissione della proprietà era matrilineare Un’altra usanza pittica, ancora praticata in alcune zone delle Highlands scozzesi fino ai primi anni del ventesimo secolo, prevedeva che la donna restasse nella casa dei suoi genitori anche dopo il matrimonio.
Gran parte dell’Inghilterra e dell’Irlanda fu occupata in epoca pre-romana, dalle tribù celtiche che, benché parlassero lingue indoeuropee, mantenevano ancora molte usanze dell’Europa Antica, come per esempio la devozione verso la dea e la successione matrilineare. I racconti tradizionali irlandesi descrivono il matrimonio come un evento essenzialmente matrilocale. La letteratura primitiva dell’Irlanda e del Galles conserva leggende di eroi celtici che come gli eroi dei Greci, lasciano la propria casa per cercare un’ereditiera da sposare e dividere con lei il dominio della sua terra. Le leggi dell’Irlanda antica e del Galles insistono sul ruolo importante assegnato al fratello materno, che rappresentava il ceppo materno, così come un ruolo importante era assegnato al figlio della sorella, che ereditava la proprietà. E’ assai probabile che la successione matrilineare fosse la regola nell’antica società dei Celti.
In sintesi, i documenti antichi e l’archeologia sono concordi nell’attestare l’importante ruolo sociale della donna celtica, che godeva di un prestigio personale e poteva possedere dei beni, anche se il sistema giuridico celtico era fondato su usanze patriarcali indoeuropee. La regione di Gaul (nella Francia odierna) al tempo dei Romani era abitata da tribù celtiche. Nel primo secolo a.C. lo scrittore greco Diodoro Siculo descrive le donne galliche come “non solo eguali in statura ai loro mariti, ma anche in grado di rivaleggiare con loro in quanto a forza”. Una delle figure storiche più conosciute dei Celti fu Boudicca, una regina celtica che visse sull’isola britannica. Si trattava in realtà della vedova di un re celtico: istigò una rivolta contro i Romani reclamando il proprio diritto di successione. Il romano Dione Cassio la descrive con reverenza: “Era di costituzione imponente, d’aspetto terrificante… Una gran massa di capelli rosso-fuoco le scendeva fino alle ginocchia: portava avvolta al collo una grande collana d’oro e una tunica multicolore sotto un grosso mantello chiuso da una spilla”. Gli scavi archeologici nella Francia orientale e nella valle del Reno hanno portato alla luce tombe estremamente ricche di donne celtiche dell’età del ferro, databili dal settimo al quarto secolo a.C.¸queste donne appartenevano alle culture celtiche di Hallstatt e di La Tène.
Anticamente alcuni tratti matrifocali persistevano anche in Scandinavia e in Germania, dove la relazione materna era considerata più importante rispetto a quella paterna. Tra i Turingi, se un uomo moriva senza figli, la sua proprietà passava alla sorella o alla madre. Tra i Burgundi, i diritti e i titoli delle case regnanti passavano attraverso le donne. Tra i Sassoni, una rivendicazione al trono non era considerata completa finché l’aspirante non avesse sposato la regina. In svariate tribù germaniche la successione matrilineare era la norma e il regno veniva ereditato mediante il matrimonio con la regina o la principessa. Fino all’ottavo secolo d.C. in Scandinavia un regno passava dalle figlie ai loro mariti. I più antichi documenti storici delle tribù nordiche e germaniche sostengono che gli uomini venivano spesso chiamati secondo il nome della madre piuttosto che del padre: la stessa pratica la si è vista tra le culture non indoeuropee dell’Egeo.
Nelle culture del periodo protostorico rimanevano molti elementi della cultura dell’Europa Antica. Uno dei più visibili è la matrilinearità e la trasmissione dei beni lungo la linea femminile della famiglia; anche la successione al trono o la posizione di potere passava lungo la linea femminile da madre a figlia. Si può vedere l’importanza del lignaggio femminile nei nomi di persona che seguono quelli delle madri più che quelli dei padri. Di particolare importanza era la relazione fratello-sorella; si sa anche di matrimoni tra fratello e sorella, per esempio nell’antico Egitto. La sorella era più devota al fratello che al marito e il fratello era coinvolto direttamente nella crescita e nell’educazione dei bambini. In molti luoghi il matrimonio era endogamico: cioè ci si sposava all’interno dello stesso gruppo culturale.
Nelle culture indoeuropee, più vicine a noi, la società patriarcale, per la sua enfasi per il combattimento e il valore delle armi, trova un suo calco nella religione, con divinità guerriere, e nel simbolismo religioso, con l’enfasi per i motivi bellici. La stratificazione gerarchica delle società indoeuropee si rispecchia nella gerarchia delle divinità indoeuropee. Nell’Europa Antica la struttura della società era diversa. Questa è una delle ragioni principali per cui la religione dell’Europa Antica aveva una natura fondamentalmente diversa dalle più familiari religioni indoeuropee.”.
E sui caratteri della civiltà dell’antica Europa presenti nella civiltà etrusca scrive: “Gli Etruschi parlavano una lingua non indo-europea, anche se attorno a loro nella penisola italiana si parlava quasi ovunque indo-europeo. I loro vicini indo-europei erano i Latini (i futuri Romani) e gli Umbri. Quando i Greci cominciarono a colonizzare alcune parti del Mediterraneo occidentale, aprirono i commerci sul Tirreno, nelle coste dell’Italia centrale, entrando così in contatto con gli Etruschi; negli scavi etruschi relativi a quest’epoca sono state trovate delle ceramiche greche. Gli Etruschi adottarono un certo numero di innovazioni greche, compreso l’alfabeto, che gli Etruschi modificarono leggermente per adattarlo al loro linguaggio.
Sono state registrate circa tredicimila iscrizioni etrusche, e dal momento che si conosce la fonetica dell’alfabeto greco, si può con una certa approssimazione ricostruire il suono della lingua etrusca. La lingua etrusca è stata decifrata, ma la maggior parte dei testi etruschi resta oscura. Ciò è dovuto da una parte al fatto che l’etrusco ha pochissime relazioni con gli altri linguaggi conosciuti, e dall’altra al fatto che molte iscrizioni sono soltanto brevi dediche su tombe, specchi o ceramiche. Testi più estesi sono rari. L’iscrizione più lunga è un calendario liturgico di sacrifici e preghiere, proveniente da un libro sacro scritto su tela, parti della quale si sono conservate riciclate come involucri per mummie egiziane. Un viaggiatore croato del secolo scorso comprò la tela, che attualmente si trova al Museo Nazionale di Zagabria. Contiene all’incirca mille e duecento parole leggibili. I testi arcaici sono spesso bilingui: si possono tradurre mediante le iscrizioni che contengono lo stesso messaggio in due lingue, una già decifrata e l’altra sconosciuta. Ma si è a conoscenza di una sola iscrizione bilingue (quasi bilingue, per l’esattezza) che comprende l’etrusco e il fenicio. Si tratta di un’iscrizione su tre tavolette d’oro trovate a Pyrgi nel 1964, sulla spiaggia etrusca di Caere, risalente a circa il 500 a.C. Le tavolette di cui si tratterà in dettaglio successivamente includono solo un’iscrizione sulla dea Uni, non abbastanza per risolvere l’enigma della lingua etrusca.
Gli Etruschi differiva dal punto di vista sociale dalle culture indo-europee circostanti. Sia i Greci che i Romani ebbero modo di notare l’elevata posizione sociale che occupavano le donne etrusche. Le donne bevevano, danzavano, andavano a teatro, partecipavano alla vita pubblica ed erano istruite. Una delle donne etrusche più celebri fu Tanaquil, moglie di Tarquinio Prisco, il primo re etrusco di Roma. Lo scrittore romano Livio sostiene che fosse colta e ben versata nell’arte divinatoria. Gli Etruschi costruirono alcune delle più elaborate tombe per ricche nobildonne o sacerdotesse. Un esempio è la tomba Regolini-Galassi, del settimo secolo a.C., ricca di gioielli d’oro, avorio, pissidi, servizi da tavola in argento e dadi. I manufatti rinvenuti in questa tomba si trovano ora presso il Museo Gregoriano in Vaticano.
Mentre le prove letterarie esistenti dei Greci e dei Romani forniscono qualche idea sulla vita sociale etrusca, si sa ben poco della religione etrusca, e questo per diverse ragioni. Prima di tutto la società etrusca propriamente detta si estinse all’epoca della gloria di Roma, e in tal senso le culture successive non conservarono le loro tradizioni. In secondo luogo non si sono conservati documenti scritti di carattere religioso sufficientemente estesi. Di conseguenza non abbiamo prove letterarie della mitologia etrusca paragonabili a quelle dei Greci e dei Romani. Di certo si sa che, oltre al loro panteon di divinità, gli etruschi adottarono dee, dèi e miti greci. Alcune iscrizioni si riferiscono a un certo numero di divinità etrusche, alcune delle quali hanno nomi in etrusco; altri nomi derivano dal greco e dal latino. Molto di ciò che si sa deriva da resoconti di seconda mano dei Greci e dei Romani, e dai reperti archeologici del periodo tardo-etrusco (dal quinto al secondo secolo a.C.). Nonostante questi ostacoli, si può apprendere qualcosa della religione etrusca e della sua derivazione dall’Europa Antica.”.
da “La Germania” di Tacito
Tacito nella sua opera “La Germania” così scrive dei popoli germanici: “… perché la razza germanica è insofferente di pace: più facilmente si acquista gloria in mezzo ai pericoli, e soltanto con la violenza e con la guerra è possibile mantenere un grande seguito.”. Ma anche tra quegli stessi germani, dediti totalmente alla guerra, c’è la gente degli Estî che, dalla descrizione delle credenze religiose e delle abitudini di vita attiva che ne fa lo storico, sembrano appartenere ai popoli dell’Antica Europa:
… Ergo iam dextro Suebici maris litore Aestiorum gentes adluuntur, quibus ritus habitusque Sueborum, lingua Britannicae propior. Matrem deum venerantur. Isigne superstitionis formas aprorum gestant: id pro armis omniunque tutela securum deae cultorem etiam inter hostis paestat. Rarus ferri, frequens fustium usus. Frumenta ceterosque fructus patientius quam pro solita Germanorum inertia laborant…. | … … Dalla parte orientale del mare dei Suebi, vediamo, dunque, bagnata la regione ove sta la gente degli Estî, che per abitudini ed aspetto esteriore sono più simili ai Suebi; per linguaggio, invece, si avvicinano ai Britanni. Adorano la madre degli dèi. Come segno del loro culto portano oggetti in forma di cinghiali: questi, in luogo di armi, come difesa contro tutti i pericoli, rendono sicuro, anche in mezzo ai nemici, colui che è devoto alla dea. Raramente adoperano ferro, spesso bastoni di legno. Si occupano della coltivazione del grano e di altri prodotti della terra con una costanza maggiore di quanto comporti la consueta indolenza del Germani. (3) |
(1) TecaLibri: Francesco Villar gli Indoeuropei e l’origine dell’Europa – Articolo scritto da Asgard
(2) Gimbutas, Le dee viventi
(3) pubblicazione del Corriere della Sera, Ed. BUR Rizzoli – traduzione dal latino di Bianca Ceva.