ARCHEOASTRONOMIA

Sumeri, Caldei, Egizi: Calendario e Orologi

Sumeri e Caldei

Il contributo che queste civiltà, che a partire da IV° millennio a.C. si sono insediate e succedute nell’area della antica Mesopotamia (attuale Iraq), hanno dato all’astronomia, alla matematica e, conseguentemente, alla misura del tempo, un contributo basilare, ed ha costituito il punto di partenza per tutte le altre culture che si sono affacciate sul Mediterraneo. In effetti alcuni strumenti e metodi per misurare il tempo, già in uso nell’area mesopotamica, in parte coevi alle prime dinastie egizie, sono poi stati successivamente perfezionati e utilizzati dai greci e dai romani. Tra i manufatti occorre citare l’utilizzo degli obelischi o, in alternativa, le più contenute aste/stili verticali, che sfruttando la direzione e la lunghezza delle loro ombre consentivano di stimare l’ora del giorno e il relativo periodo stagionale.

In fig. 1 è schematizzato il principio di base per valutare il computo del tempo con l’obelisco.

Gli inizi delle stagioni potevano essere stabiliti misurando la lunghezza dell’ombra dell’obelisco al mezzodì locale, quando l’ombra è la più corta dell’intero giorno.  In quel preciso istante, all’inizio dell’estate l’ombra raggiunge la minima distanza dell’anno dalla base dell’obelisco. All’inizio dell’inverno quella massima. A primavera/autunno all’incirca alla metà delle due. lunghezze.

Per valutare le ore del giorno e anche i cambi stagionali, era stato concepito un orologio solare denominato “polos”, costituito da una cavità semisferica praticata in una pietra. Al centro di tale cavità veniva inserito uno stilo verticale o, in alternativa, una sferetta sospesa ad un filo. L’ombra di questa estremità riproduceva, sulla parte interna dell’emisfero, il cammino (al contrario) del percorso del sole (fig. 2). L’interno della cavità veniva opportunamente inciso con linee ed archi di circonferenza, in modo che l’ombra prodotta dall’estremità dello stilo, proiettandovisi, consentisse di valutare sia le ore (dodici linee quasi parallele) che i cambi stagionali (le tre curve parallele in fig. 3).

Esistono inoltre tutta una serie di tavolette di argilla (scrittura cuneiforme) che attestano l’uso dello gnomone (asta che generando l’ombra indica l’ora), con gli intervalli di tempo corrispondenti alle ombre di varia lunghezza nei due giorni degli equinozi e dei solstizi. Queste misure erano supportate e verificate anche con l’uso delle clessidre, originali vaschette tronco-coniche riempite di acqua, particolarmente utili per conservare il tempo durante la notte e nei giorni nuvolosi. Il giorno era suddiviso in dodici “doppie ore” ed iniziava all’alba, mentre il mese cominciava con la prima falce di luna, visibile alla sera, dopo il novilunio. L’anno era calcolato quindi su base lunare e dato che 12 lunazioni di 29,5 giorni fanno 354 giorni, era opportuno, per sincronizzarlo con il sole e le stagioni, apportare delle intercalazioni periodiche con l’aggiunta di mesi supplementari. A questo riguardo sono eloquenti le decisioni, spesso prese dal re in persona, per definire l’aggiunta del mese intercalare:  “Hammurabi dice al suo ministro in-Iddam: l’anno è fuori posto. Fai registrare il prossimo mese con il nome di Ululu II°. Il pagamento delle imposte, a Babilonia, invece di terminare il 25 Tasritu, dovrà finire il 25 Ululu II”. In effetti il calendario lunare, dall’inizio del II° millennio a.C., veniva regolarmente mantenuto in accordo con l’anno solare con la ripetizione del sesto mese intercalare (Ululu II°) e del dodicesimo (Addaru II°) fig. 4. E’ comunque solo partire dal VII°-VI° sec. a.C. che le intercalazioni del mese lunare sono documentate sistematicamente: sette volte nell’arco di 19 anni.

A conclusione di questa rapida rassegna sulle modalità di misura del tempo da parte dei sumero-babilonesi , segnalo che alcune di queste conoscenze erano presenti anche nella coeva civiltà egizia. E’ quindi assai difficile attribuirne la paternità all’una o all’altra. Un caso emblematico di questa complicata disputa, riguarda l’utilizzo delle “levate eliache”, di cui parlerò a breve,  che consentivano di determinare la durata dell’anno. Entrambe le civiltà ne facevano uso fin dal III° millennio a.C.

Gli Egizi                                                                                                                                                                                             

Il periodo storico che qui ci interessa è quello che va dall’Antico Regno (inizio III° millennio a.C.) alla Età Tarda (IV° sec. a.C). A quanto risulta dalle ricerche degli ultimi 50 anni, anche in Egitto si faceva uso di un calendario su base lunare già a partire dal IV° millennio a.C. Come abbiamo visto in precedenza, questo calendario richiedeva continui aggiustamenti  e intercalazioni per sincronizzare i cicli lunari con quelli solari. Verso l’inizio del III° millennio a.C., quando l’agricoltura richiese una migliore programmazione per la semina e il raccolto, gli egizi notarono che in concomitanza con l’arrivo dell’inondazione del Nilo (la nostra estate), una stella molto brillante appariva al mattino prima dell’alba: era Sirio, la più luminosa del cielo.

La costante osservazione del fenomeno, sicuramente seguito per lunghi periodi di tempo, consentì loro di ancorare il ciclo annuale delle inondazioni con la puntuale apparizione della stella. Secondo alcuni ricercatori questo evento portò alla prima stesura di un calendario solare di 365 giorni e all’assegnazione di questa data come Capodanno. Anche se questo calendario, almeno per lunghi cicli temporali, presentava piccole fluttuazioni rispetto alla precisa durata dell’anno delle stagioni (Anno Tropico), è opportuno descriverne al dettaglio la dinamica di base (fig. 5). Del resto è noto come gli egizi utilizzassero delle aste graduate (nilometri), dislocati lungo il corso del Nilo, per valutarne in tempo reale il livello di piena e quindi stimare in anticipo il periodo delle inondazioni. Le stagioni dell’anno erano solo tre (quattro mesi ognuna).

In fig. 5 viene descritto il principio di base astronomico delle levate eliache. Sappiamo che il giorno solare medio, ovvero il tempo che la Terra impiega a fare un giro completo intorno al proprio asse rispetto al Sole, ha una durata di 24 ore. Se invece misuriamo   il tempo che la Terra impiega a fare il medesimo giro rispetto ad una stella (Sirio in questo caso, ma vale per tutte le altre), troviamo che questo avviene quattro minuti prima (23 ore 56 minuti). Questo fa sì che ogni giorno la stella sorga all’alba quattro minuti prima del Sole. Quindi se al suo primo apparire è più vicina al Sole, in prossimità dell’orizzonte, giorno dopo giorno se ne allontana sempre più. Dopo tre mesi, poco prima dell’alba, la stella è molto alta in cielo e dopo sei mesi  tramonta quando il Sole sorge. Trascorsi 365 giorni, cioè un anno completo, la stella riappare sull’orizzonte all’alba, anticipando la sua levata rispetto al Sole (levata eliaca). E’ questo il fenomeno celeste che consentiva di determinare la durata di un anno e che è stato utilizzato sia dagli Egizi che dai Caldei.  Per quanto riguarda la misura del tempo durante il giorno, anche in Egitto si faceva largo uso di orologi solari, sia portatili che monumentali, documentati già a partire dal XV° sec. a.C. (faraone Thutmosis III).

Nelle figg. 6 e 7 sono mostrati due tipi di questi orologi solari portatili. Per utilizzarli venivano orientati con lo spigolo superiore (gnomone) verso il sole, rilevando la lunghezza dell’ombra prodotta sulla parte orizzontale del manufatto, dove erano incise una serie di tacche che quantificavano il succedersi delle ore. Un altro tipo di marcatempo portatile più completo, di epoca successiva, consentiva una lettura del tempo per più ore che, grazie alla inclinazione della sua base, misurava le ombre di inizio e fine giornata(fig. 8). Una particolare versione di orologio solare monumentale (orientato a sud), apparso intorno all’VIII° – VII°sec. a.C., misurava il tempo con l’ombra generata dagli spigoli di un muro a “T”, che veniva proiettata su dei gradini (a sinistra al mattino, a destra al pomeriggio). Il numero  dei gradini coperti dall’ombra indicava le ore trascorse (fig. 9). E’ stato ipotizzato, forse in modo azzardato, che un orologio simile potesse avere avuto una qualche relazione con il miracolo biblico della “retrogradazione dell’ombra”, citato nel IV Libro dei Re al tempo del profeta Isaia (“…vuoi tu che l’ombra si allunghi di dieci gradini, ovvero che retroceda di dieci gradini? E’ cosa facile che l’ombra s’allunghi di dieci gradini. No. L’ombra retroceda piuttosto…).

Per quanto attiene le misura del tempo durante la notte, oltre alla mensionata clessidra ad acqua, usata anche dai Sumeri, gli Egizi utilizzavano il moto apparente delle stelle già dal III° millennio a.C.  I sacerdoti-astronomi preposti alle osservazioni si ponevano uno di fronte all’altro (fig. 10), cercando di far collimare dei fili a piombo applicati ad un’asta orizzontale, attraverso la fessura praticata su una nervatura di palma verticale chiamata Merkhet (fig. 11). Questa doppia collimazione permetteva di centrare meglio le stelle di riferimento, sia che transitassero sul meridiano del luogo (la direttrice nord- sud), ad un’ora ben definita della notte, sia quelle intorno al polo nord celeste (le imperiture). Il transito in meridiano, indicato da particolari stelle dette decani, forniva l’ora di mezza notte. Questi decani, cosi chiamati perché si alternavano ogni dieci giorni, venivano utilizzati a partire dal crepuscolo serale fino a quello mattutino, per indicare quindi tutte  le ore notturne. Erano in totale di trentasei e coprivano pertanto 360 giorni che, con l’aggiunta di altri cinque computati a parte (epagomeni), fissavano l’intera lunghezza dell’anno.

Il principio astronomico che sta alla base dei decani è lo stesso delle levate eliache. Al crepuscolo serale, quando cominciano ad apparire le prime stelle verso est , veniva localizzata quella preposta ad indicare la prima ora notturna (non conosciamo purtroppo l’elenco completo delle 36 stelle o gruppi di stelle utilizzate, vedi fig. 12). Questa stella, anticipando la sua levata di quattro minuti al giorno, dopo dieci giorni (per un totale di 40 minuti, lasso temporale “orario” dell’epoca) lasciava il posto ad una stella che sorgeva successivamente. A questo punto la prima stella andava ad indicare la seconda ora della notte, mentre quella sorta successivamente avrebbe indicato la prima ora. In questo modo le dodici ore della notte richiedevano dodici stelle sorte in successione. Questo computo del tempo era formalizzato in tabelle predefinite che costituivano i cosiddetti orologi stellari diagonali  o calendari diagonali, proprio in virtù del fatto che ogni stella decano nell’arco della notte occupava varie caselle lungo una direttrice in diagonale.  Le durate del giorno e della notte erano suddivise, per tutto l’anno, in due frazioni di dodici ore ciascuna. I mesi venivano definiti da tre “settimane” di dieci giorni. Mentre i primi orologi stellari diagonali con i relativi decani risalgono alla fine del III° millennio a.C. (coperchi di sarcofagi dalla IX alla XII dinastia), all’inizio del Nuovo Regno (XVI° sec. a.C.) la loro utilità divenne inadeguata. Specialmente durante il periodo ramesside (XII° sec. a.C.) per le ore della notte adottarono un metodo più sofisticato: l’utilizzo della posizione di nuove stelle orarie, diverse dai decani, che transitavano prima, durante e dopo il loro passaggio sul meridiano. Questi orologi consistevano in 24 tavole, una per ogni 15 giorni, costituite da un grafico composto da otto righe verticali e tredici orizzontali, alle cui spalle era raffigurata una sagoma, che delimitava i contorni che avrebbe assunto l’ipotetico osservatore-astronomo. L’ora veniva determinata dalla posizione che la stella oraria preposta assumeva rispetto al reticolato posto alle spalle della sagoma: “…opposta al cuore, sopra l’occhio sinistro, sopra il destro, sopra l’orecchio destro, ecc. (fig. 13).

Bibliografia essenziale                                                                                                                                                

  1. L’Astronomia Egizia – di Carlo Gallo, editore Muzio;
  2. Astronomia egizia – di Massimiliano Franci, editore Edarc;
  3. La scrittura celeste – di Giovanni Pettinato, editore Mondadori
  4. La nascita della scienza – di André Pichot, editore Dedalo
  5. Scritti sulla storia della astronomia antica (tre tomi) – di Giovanni Schiaparelli, editore Mimesis
  6. La scoperta dell’ombra – di Roberto Casati, editore Mondadori
  7. L’ombra e il tempo – di Aldo Trinchero, Lando Moglia e Giancarlo Pavanello, editore Vanel  (Torino)
  8. Meridiane – di René R. J. Rohr, editore Ulissedizioni

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